Descrizione dello spettacolo
"Danza dell'Oppio" interpretato da Mata Hari:
"...Qui ella si esibisce nell' integrale audacissima Danza dell'Oppio.
...La danzatrice di cui si favoleggia sia vissuta prigioniera in un tempio e ammaestrata alle sacre danze della dea Kalì, la statua stupenda di carne, colei che possiede in sé il fulgore del sole asiatico, la sacerdotessa di tutti i riti che la dea della violazione e dell'abbandono tramanda per il sacro delirio del suo corpo divino è lì, in ginocchio, curva su un braciere d'oro, circondata da velluti, in una scena colma di nubi, satura di un sentore dolciastro atto a simulare quello della droga che dona il sogno liberatore.
In quel misterioso regno, su immensi drappi color porpora, di passione e di sangue, Mata Hari sta, fissa nella adorazione della fiammella azzurra, in cui il divino oppio si consuma; e tutto intorno una musica di cimbali malefica e avvincente. Onde di suono e onde di silenzio, esclamazioni di gioia e urla sommesse di dolore, si torcono e danno la misura di una tensione umana e divina. Mata Hari, sacerdotessa del male, giace nell'adorazione del suo terribile dio, a tratti apre le braccia come ad afferarlo, ma sempre si ritrae delusa: esso non è che fumo, parvenza vana. ...E intanto sale lentamente da profondità insondate - profumo della pianta mortale divenuto musica e più che musica fragore di spasimo e scoppio di rabbia... Nel silenzio immenso, gli spettatori stanno meravigliati... ...e lei, Mata Hari, la baiadera nuda, muove le braccia e il suo corpo si alza, si snoda come un tiepido serpente da un voluttuoso letargo, sul suo viso intento e soave ride e sanguina il rosso fiore delle labbra; leva ella le braccia e le ascelle appaiono azzurre pari a un brevissimo mare e infinito; rovescia la nuca... La danzatrice si scuote: il suo corpo ignudo è come un viluppo di sonagli e di fiori, di profumo e calore e pare che tutta la femminilità del mondo si mostri e si apra per accogliere il sublime messaggio. Si, Mata Hari in quell'istante è la pallida schiava della dea Kalì. ...Si, ella in questo momento è davvero se stessa e si torce e si strazia e morde l'aria il nulla coi canditi denti - lei la baiadera dagli occhi allungati e brillanti, dalle giunture di feltro, le palme di velluto, le anche fredde e feroci, le caviglie levigate dolce pietra di luna... ...Si, ella è la Mata Hari di cui si favoleggia: colei che delira e fa delirare... ...Centinaia di occhi la fissano; poi ella alza le braccia, avanza lenta sul proscenio, con soste lunghe e meditate attorno alla gelida fiamma che vibra col suo verde occhio di serpe. Nessuno certo ha mai visto nulla di simile, in nessun luogo mai, nessuna donna è stata più nuda e tuttavia in quel suo offrirsi agli sguardi sebbene intatta e monda da tutto ciò che sia veste, coperta solo da due dischi di metallo e di gemme al vertice dei seni, ella impersona un ideale a suo modo religioso: sacerdotessa blasfema e tenera, violenta e misericordiosa... Mata Hari, mentre la sua danza assume un ritmo sempre più insinuante, si offre e si nega, essenza e sublimazione di ogni donna, quintessenza di ogni piacere dello spirito e della carne... Ella sola si muove in quella immobilità di sasso di cui gli spettatori sono vittime e carnefici; ed ella gira attorno al ricamo di fiamma, si avvolge del verde nastro di aromi, da quel minuscolo rogo che sembra bruciare smeraldi; i suoi capelli tesi alle tempie, affollati alla nuca, brillano di vampe rossastre, scintillano per i diaspri e le giade incastonati, il piccolo serpe di diamanti che li annoda e li tiene. E le braccia, le braccia chiamano e tentano il dio, invocano e danno carezze, sfiorano ambigue le zone d'ombra e di luce, entrano con mani sinuose infinite nella immaginazione degli astanti, si piegano come stoffe candite e ondeggianti; ella snoda i polsi allunga le dita affusolate: è una e mille, è tutte le donne del
mondo che pregano e chiamano il dio. Ella lo invoca con le mani e i polsi e le braccia, vivi e guizzanti come un nido di candite serpi, lo tenta con le ascelle azzurre, gli offre il cavo tiepido delle braccia in cui il sangue caldo scorre, scopre la gola che palpita dove una lama azzurra sembra affondare fatta di gioia e di spasimo, un movimento di danza che si fa concreto ed etereo, e la sua schiena pare spezzarsi nel movimento esaltato da una crescente ansia di dedizione... Mata Hari cammina, il piede arcuato affonda come un artiglio di grazia nel morbido tepore del velluto purpureo; estasiata e folle affonda le braccia nelle volute azzurre di fumo e sembra che esso, come una tunica impalpabile, aderisca al suo corpo, vi scenda e si modelli a sua forma, lo vesta, nasconda per un attimo quella nudità melodiosa che implora... Sui loti d'oro e d'argento che i teneri piedi di Mata Hari sfiorano, sugli asfodeli canditi, piove una luce che ha il colore sublime degli astri; gli strumenti invisibili si esaltano, il loro suono insinuante e discreto si trasforma, le note si accavallano e si moltiplicano: non è più un suono quello, sì un'orgia tremenda e affascinante di suoni e sopra di essi, navigatore solitario e terribile, il dio degli dei passa, va verso il destino degli uomini... Il pubblico di Madrid mai aveva visto un simile spettacolo, mai una donna, per quanto fosse dotata di ogni grazia e arte femminile, lo aveva esaltato a tal punto; solo ora gli spettatori scoprono la femmina, il suo arcano e profumato potere; soltanto in questi istanti fatali ha conoscenza chiara e certa di ciò che la natura o il caso hanno creato per la propria continuità: lo splendente e infuocato e tenero dono che alimenta la poesia e l'immaginazione dei viventi.
Mata Hari adesso, al culmine della propria esibizione, si rotola, si contorce su una infiorata prateria di desideri, i suoi ginocchi, le gambe battono l'aria nel ritmo incalzante della voluttà che tutto brucia e consuma, e il dio, il Budda, Siva incombe su di lei, fumo e materia, anima e concretezza estrema. Il corpo di Mata Hari splende e si eclissa, velluto teso e arrendevole, geme e canta come le canne che oscillano al vento, di esso e per esso risuonano; emana una melodia sorda e tenace che sembra uscita dal flauto...e la sua preghiera esasperata dal delirio sale e sovrasta la gelida fiamma che si consuma in uno splendore gelido e affascinante di smeraldi, attinge i cieli supremi..."
Tratto dal romanzo Mata Hari, di Massimo Grillandi, edito da Bompiani, 2003